Emigrante

 

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Carlo Belloli – Città / un emigrante, 1975
Foto da catalogo ” la parola nell’arte” MaRT. Collezioni

In metropolitana c’è poca gente e c’è silenzio. Un uomo passa chiedendo soldi.
Gli occhi del questuante si sono fermati sui miei e abbiamo conversato in modo per nulla fluido.
Cercavo di seguire i suoi discorsi pieni  di dolore e di rammarico per un’integrazione apparente.
Le sue illusioni sono cadute quando ha ricevuto il rifiuto a condividere il pasto per festeggiare la nascita della sua bambina. Presumo sia  un evento accaduto lontano nel tempo considerata la sua età (sembra un settantenne).
“Quando non c’è rispetto non c’è nome e mia figlia non ha nome.”
Un dolore composto, fitto  di rassegnazione.
Gli ho detto “io ti rispetto, come ti chiami?”
Ha allungato la mano per stringere la mia e ha chiesto il mio nome.
Una mano forte e grande ha accolto la mia con delicatezza.
“C’è rispetto e c’è nome,  assalam aleikum, lucy”
“Aleikum Salam, Tareq”
Andando via si è girato ancora una volta.
Forse voleva dirmi ancora qualcosa, chissà!

10 pensieri riguardo “Emigrante

  1. Non c’è commento da fare, Lucy.
    Non c’è che da leggere e prendere nota.
    Annotare il fatto per unirlo a tutti gli infiniti altri di cui avere memoria.
    Ne uscirà probabilmente un album di confidenze giustamente date e nel contempo di altre confidenze date e che non erano da dare.

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      1. Hai ragione, il mio commento non è stato chiaro.
        Intendevo:
        l’episodio che tu racconti, lo prendo tale quale essendo di per se stesso sufficientemente eloquente. (Non c’è commento da fare, scrissi) E anzi, lo giudico interessante appunto degno di essere ricordato. Insieme però ad altri episodi riscontrabili nel quotidiano e dalle cronache, al contrario meno lusinghieri, dove l’immigrato di turno non è necessariamente la brava persona vittima di pregiudizi o emarginazione o altro.
        Dalla casistica complessivamente raccolta avremo un dossier dove, forse solo allora, è possibile trarre un bilancio, un giudizio, più esteso e significativo rispetto a un singolo caso.
        La prova che io non sia, comunque, razzista è che l’essere umano di qualsiasi latitudine e colore di pelle è attentissimo a rivendicare i propri diritti ma pronto a passare da vittima ad aguzzino, a sua volta.

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  2. mi rapporto agli altri senza pregiudizio, e con la mia capacità di giudizio attiva.
    mi fido delle mie sensazioni e del mio giudizio che nasce durante l’incontro.
    quando mi rapporto con qualcuno (anche uno scambio di informazioni per strada è per qualche istante un rapportarsi all’altro) , il mio comportamento non è più libero ma è condizionato dalle emozioni che quella persona mi suscita e dalle sue reazioni al mio comportamento, alle mie emozioni espresse,per lo più involontariamente.
    e lo stesso vale per l’altro.
    in un incontro io di certo scopro qualcosa di me e a volte quel qualcosa mi sorprende.
    a volte scopro qualcosa dell’altro.
    tornando all’uomo incontrato in metropolitana, credo che ci siamo riconosciuti entrambi in quel dolore che lui raccontava e di conseguenza mi ha regalato la sua solidarietà tendendomi la mano e guardandomi negli occhi con dolcezza.
    è emigrante chi sta lontano dalle proprie radici.
    non amo le statistiche.

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    1. Ineccepibile.
      Ma quando devi uscire dallo strettamente personale?
      Non dico in veste di Ministro degli Interni, ma come elettrice o devi valutare o giudicare una legge?

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